Marina Carobbio Guscetti
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Consiglio Nazionale: | Candidata n. 01 – Lista 15 |
Professione: | Medico di famiglia |
Data di nascita: | 12.06.1966 |
Luogo di residenza: | Lumino |
Congedo parentale
In confronto all’Europa, la Svizzera è in netto ritardo per quanto riguarda il congedo maternità. Alla nascita di un figlio un uomo ha diritto a un congedo identico a quello che viene concesso per un trasloco, mentre le donne a 14 settimane di assicurazione maternità. A livello legislativo non è previsto un congedo parentale e pochi sono ancora i contratti collettivi di lavoro che lo riconoscono. In questo modo si continua a promuovere l’idea che il lavoro di cura debba essere svolto dalle donne, limitando da una parte agli uomini la possibilità di vivere pienamente il processo di crescita ed educazione della prole e mettendo in secondo piano il fondamentale contributo che il lavoro di cura porta alla società. Dall’altra parte si rafforza così la divisione lavorativa tradizionale all’interno della famiglia, con la donna madre e casalinga, mentre l’uomo guadagna il salario principale. Per queste ragioni, pur sostenendolo, ritengo che il congedo paternità di 4 settimane così come richiesto da un’iniziativa popolare o di addirittura di sole 2 settimane, come discusso attualmente alle Camere federali, non è che un primo passo. L’obiettivo deve essere quello di un congedo parentale di 14 settimane per ciascun genitore e 10 settimane da ripartire liberamente. Una misura più che mai necessaria per riportare le famiglie al centro delle priorità della nostra società.
Riforma AVS e innalzamento dell’età pensionabile delle donne
L’AVS è certamente una delle più grandi conquiste sociali del nostro paese, essa deve essere garantita anche in futuro. Considerato che l’aspettativa di vita della popolazione continua ad aumentare e i fondi di riserva delle casse AVS si riducono di anno in anno, è necessaria una riforma del suo sistema di finanziamento, attraverso anche un maggiore contributo da parte della Confederazione. Una riforma che non deve però essere fatta a scapito delle donne già fortemente penalizzate a livello di previdenza vecchiaia. È fondamentale potenziare il 1. pilastro, poiché per una gran parte della popolazione, e in particolare per molte donne, si tratta dell’unica forma di sostentamento durante la vecchiaia. Per contro, la parificazione dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini non è accettabile finché non vi saranno delle condizioni salariali eque, le medesime opportunità di carriera e fin quando i lavori di cura, che vengono ancora svolti quasi solamente dalle donne, non verranno riconosciuti ed equiparati al lavoro salariato. Si tratta infatti di garantire misure compensatorie sufficienti, come ad esempio l’introduzione di congedi per la cura dei figli e di famigliari anziani o malati finanziati tramite l’IPG e di riconoscere degli accrediti per compiti assistenziali anche nel 2. pilastro. È necessario anche un maggiore riconoscimento di chi lavora a tempo parziale e percepisce salari modesti, permettendo così a molte donne oggi escluse di accedere al 2. pilastro.
Quote di genere
Le quote di genere sono uno strumento utile per cercare di porre dei correttivi alla sottorappresentanza delle donne ai vertici delle grandi aziende e nelle posizioni di potere, perlomeno fintantoché non sarà raggiunta un’equa rappresentanza di donne e uomini. Oggi ci si limita ad invitare le società quotate in borsa ad avere una rappresentanza femminile minima, senza obblighi vincolanti. La proposta discussa nell’ambito della revisione del diritto delle società anonime di introdurre la soglia del 20% per una rappresentazione di genere negli organi direttivi delle aziende è insufficiente, ancorché sia un passo nella giusta direzione. Per rompere il tetto di vetro che impedisce a molte donne di essere presenti laddove si prendono le decisioni, è necessario far sì che almeno il 40% di un sesso sia rappresentato ai vertici delle imprese pubbliche e private. Un passo che è nell’interesse delle aziende stesse: numerosi studi dimostrano che una maggiore presenza di donne ai vertici delle imprese, e più in generale nel mondo del lavoro, fa bene all’economia. A lungo termine, bisogna fare in modo che, tramite l’educazione e cambiamenti culturali, la nostra società arrivi finalmente al punto di non necessitare più delle quote di genere per permettere un’equa rappresentanza di tutte le componenti sociali.
Equità dell’imposizione delle coppie e delle famiglie
L’imposizione individuale indipendentemente dallo stato civile permette una vera equità a livello fiscale. L’imposta federale diretta grava sulle coppie con doppio reddito, in particolar modo coppie con figli, le quali nel caso in cui entrambi i coniugi lavorano e spendono un’importante parte del loro reddito per i costi delle strutture extra-famigliari. Spesso, quindi, le madri limitano il proprio tasso d’occupazione per dedicarsi maggiormente ai lavori di cura, ciò che spinge molte donne a rimanere tra le mura domestiche e ad abbandonare l’attività lavorativa. Una tassazione individuale dei coniugi e conviventi è necessaria affinché non vengano create delle dipendenze economiche di un partner nei confronti dell’altro, poiché ognuno pagherebbe le imposte in base alle proprie disponibilità economiche. Si incentiverà così le madri a continuare l’attività lavorativa, con chiari benefici anche a livello delle assicurazioni sociali e pensionistico.